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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Nicola Gardini, Rinascimento

[Einaudi, Torino 2010]

«Ogni testo letterario, pur provvedendo a necessità contingenti […], esprime sempre e comunque una personalità, comunicando – indirettamente, allusivamente, vorrei dire involontariamente – un’area dell’esperienza vissuta che è molto più estesa di quanto quel certo testo racconta o verbalizza; comunicando, cioè, un’antropologia che sta all’interprete riconoscere, individuare e descrivere. Nella scrittura di un libro non solo parla l’autore, ma c’è tutta una civiltà – un sistema di segni – che vi si rappresenta». Questa citazione è tratta da Rinascimento di Nicola Gardini, diciottesimo volume della collana «Mappe», ed appare emblematica della linea storico-culturale scelta da questo studioso. Non si tratta di un manuale, né di un libro di storia.

Alla base della ricerca troviamo il bisogno di definire linee-guida, categorie filosofiche e ideologie culturali che vanno a formare l’immaginario rinascimentale e ne segnano i percorsi fondamentali. Del resto, se le parole sopra riportate vanno lette in riferimento al genere autobiografico («La ferita di essere se stessi»), quanto mai presente nella mentalità rinascimentale, esse possono divenire anche la cartina di tornasole per riconoscere e stigmatizzare l’intero periodo preso in esame. I termini scritti in corsivo appaiono significativi. Personalità: scoperta e riscoperta del soggetto; individuo come centro propulsivo dell’indagine naturale, filosofica, politica. Esperienza vissuta: valorizzazione della singolarità esistenziale, ma senza preclusione del contesto sociale e politico-economico che contribuisce alla formazione e al costituirsi – in parte involontario – del soggetto stesso.

Antropologia: da intendersi in senso etimologico come scienza dell’uomo, analisi delle formae mentis culturali che determinano e interagiscono con tutta la complessità esistenziale. Da qui discende anche il mutarsi della prospettiva ideale, dalla verticalità della speculazione medioevale a quella del Rinascimento, interessata piuttosto a stabilire un reticolato orizzontale di congiunzioni, nessi causali e finalità contingenti. È questo l’alveo metodologico in cui devono muoversi la ricerca storica e la filologia, strumenti di indagine che organizzano il dato singolo e parziale in un quadro ricompositivo e dialettico, interno alla realtà materiale dei fatti, siano essi evenemenziali o artistico-letterari. Persino il rinnovato contatto con l’antico assume i caratteri della più totale attualizzazione: ritrovare i testi ritenuti perduti significa introiettarli, ristabilire un legame necessario alla strutturazione del puzzle, valido hic et nunc, nella nostra azione quotidiana di conoscenza e di interpretazione della realtà.

Gardini, a questo proposito, recupera una bella immagine dall’Italia illustrata di Flavio Biondo (1448- 1453): «un naufragio ha distrutto la nave del passato e lo storico deve accontentarsi di raccogliere i pochi relitti che toccano il lido» (p. 93). Lo storico, dunque, rivitalizza i frammenti e aiuta a figurare il tutto da cui essi provengono. Ma la manchevolezza del frammento non chiede più (come nel Medioevo) una compensazione metafisica, uno sguardo ultraterreno che deresponsabilizza il soggetto e lo gratifica di una speranza escatologica. Le rovine, i reperti architettonici e letterari, le testimonianze antiche divengono nel Rinascimento le reliquie laiche di un sapere tramandato, e indagato e rispettato iuxta propria principia, e mai eterodiretto.

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